Domanda n. 21

Cosa succede dopo la morte?

Dopo aver parlato della causalità che porta alla caduta negli otto grandi inferi e alla sofferenza che si prova, mi è stata rivolta la seguente domanda:

Domanda

Tutta la sofferenza che abbiamo appena descritto presuppone un insieme di sensi, o un corpo che la subisca. Ora, dato che ci stiamo riferendo a persone defunte, qual è il substrato di questa sofferenza appena descritta?

Risposta

Questa domanda riveste un'importanza fondamentale poiché solleva una significativa divergenza tra il concetto di 'anima' nelle religioni monoteiste e quello nel contesto del Buddismo. Allo stesso modo, una questione simile emerge riguardo all'incontro dei defunti con i dieci giudici sovrani, parte integrante del viaggio post-mortem che si conclude dopo tre anni dal decesso. Questi dieci regnanti esaminano le colpe commesse dal defunto e decidono le condizioni della sua rinascita. Solo coloro che hanno raggiunto l'illuminazione possono sfuggire alla loro giurisdizione e quindi hanno accesso diretto al Nirvana, così come le anime peccatrici che hanno commesso il reato supremo contro il Dharma, condannate all'inferno di sofferenze senza fine.

Secondo le credenze buddiste, dopo la morte, la coscienza o l'essenza spirituale intrinseca al defunto, comunemente definita 'anima', si dissocia dal corpo fisico e si immerge nel regno delle tenebre. È questa entità immateriale, la quintessenza dell'essere, ad essere sottoposta al giudizio dei dieci re infernali.

Per essere più precisi, nel contesto del Buddismo, dall'istante della morte, l'anima del defunto, guidata da un 'messaggero con catene', viene trasportata nei regni dell'oscurità, dove compare di fronte a dieci tribunali distinti, ciascuno presieduto da un re infernale. In ognuno di questi stadi, il sovrano infernale è incaricato di valutare il karma dell'individuo, ovvero il complesso di azioni virtuose e difetti accumulati durante l'esistenza terrena. Solo al termine di questo processo viene determinata la condizione in cui l'anima sarà reincarnata per una nuova vita.

In altre parole, questo concetto si basa sull'idea che un'entità immateriale, l'anima o coscienza spirituale, costituisca il substrato perenne dell'essere, e che sia proprio questa essenza ad essere soggetta al giudizio dei Dieci Re per le colpe commesse. Il corpo fisico è già stato abbandonato, ma l'anima, essendo immortale, si trova ancora nel ciclo della reincarnazione sotto una nuova forma di esistenza (umana, celeste, animale, ecc.). Si può pertanto affermare che il sistema buddista dell'aldilà pone l'accento sul principio immateriale e spirituale piuttosto che sul guscio corporeo, che è effimero e transitorio.

Esaminiamo ora le concezioni di altri sistemi di pensiero e credenze religiose riguardo alla questione di cosa accada dopo la morte.

Innanzitutto, molti individui non praticanti oggi aderiscono alla visione materialista secondo cui la morte equivale all'annientamento dell'essere. In termini religiosi, ad esempio, il Confucianesimo si concentra sui precetti di condotta nella vita terrena e non professando alcuna dottrina relativa all'esistenza di una vita dopo la morte.

Nell'antica filosofia occidentale, il pensatore greco Democrito credeva che l'essenza primordiale di ogni cosa risiedesse in minuscole particelle invisibili all'occhio nudo.

Queste particelle elementari erano denominate 'atomi'. Questa concezione implicava che l'intera realtà fosse composta da materia, che a sua volta era costituita da atomi. Di conseguenza, secondo questa dottrina, lo spirito come entità immateriale non poteva esistere. E anche se esistesse, sarebbe necessariamente composto da atomi e si dissolverebbe alla morte. Di conseguenza, secondo questa visione, l'essere umano sarebbe condannato all'annientamento totale al momento della morte. Questa visione filosofica secondo cui il mondo non è composto da nient'altro che da materia è comunemente chiamata 'materialismo'. Durante il periodo ellenistico, Epicuro perpetuò la tradizione del materialismo professando che la morte porta all'annientamento completo dell'essere e confutando tutte le forme di credenza religiosa, che descrisse come superstizioni infondate. In seguito, in Occidente, la dottrina cristiana che sostiene l'esistenza di un principio spirituale è salita alla ribalta, relegando il materialismo nell'ombra. Tuttavia, nella Germania del XIX secolo, in un momento in cui l'influenza del cristianesimo stava scemando, Karl Marx riabilitò questo concetto nel 1841 nella sua tesi di dottorato sui pensieri di Democrito ed Epicuro. La filosofia marxista aderisce ai precetti del materialismo, postulando che la morte equivale all'annientamento dell'essere e considerando la religione come "l'oppio dei popoli". Quindi, la negazione di qualsiasi forma di esistenza post-mortem appare intrinsecamente legata alla visione materialista del mondo. Di conseguenza, c'è una tendenza a mettere in discussione le dottrine religiose che sostengono l'esistenza di un principio spirituale distinto dalla materia. Tuttavia, il materialismo, che postula che la mente sia essa stessa costituita da materia, non ha una base scientifica provata ed è piuttosto una forma di credenza dogmatica simile a quella delle religioni.

Esaminiamo le implicazioni della premessa secondo cui la morte si traduce nell'annientamento completo dell'essere.

Partendo dall'assunto fondamentale secondo il quale "la morte costituisce un annientamento totale", l'edonismo dottrinale sostiene la necessità di concedersi ad ogni forma di ricerca del piacere e di soddisfazione dei desideri all'interno di questa vita, che rappresenta l'unico contesto esistenziale precedentemente all'estinzione definitiva con la morte.

L'epicureismo, la corrente filosofica materialista ellenistica associata ad Epicuro, si distingue per il suo approccio edonista. Secondo Epicuro, il culmine del piacere risiede nell'atarassia, ossia nella tranquillità dell'animo, piuttosto che nella mera soddisfazione dei desideri sensoriali. Tuttavia, tale ricerca del benessere terreno si configura come la logica conseguenza dell'asserzione che gli esseri umani, al momento della loro morte, sono destinati al nulla.

In situazioni estreme, questa prospettiva edonistica potrebbe essere interpretata come una legittimazione di qualsiasi comportamento moralmente censurabile, finalizzato alla ricerca del piacere in questa vita, purché resti nascosto. Tale concezione amorale sembra essere stata già diffusa all'epoca di Shakyamuni Buddha.

Ajita Kesakambali fu uno dei sei rinomati pensatori eterodossi dell'epoca del Buddha, comunemente denominati "maestri del sentiero esterno". La sua scuola di pensiero, nota come scuola Lokayata o Charvaka, propugnava una dottrina materialista estrema.

Ajita professava il materialismo, secondo il quale l'essere umano è costituito dai quattro elementi primordiali: terra, acqua, fuoco e vento. Al momento della morte, questa struttura primordiale semplicemente si disintegra, senza alcuna forma di ricompensa o castigo karmico in una vita successiva, sia che le azioni siano state virtuose o moralmente censurabili. Tale negazione della dimensione spirituale esclude quindi qualsiasi concezione di vita futura.

Di conseguenza, secondo il suo insegnamento, l'unica prospettiva consiste nell'abbandonarsi completamente ai piaceri della vita presente. Riguardo a tale dottrina, il Buddha espresse le seguenti osservazioni nelle strofe del Dhammapada (Stanze del Dharma): "Chi è privo di conoscenza dei reali insegnamenti dell'aldilà, nessun atto, per quanto riprovevole, può indurlo ad allontanarsi da esso".

Ciò implica che coloro che non credono nell'esistenza di un aldilà potrebbero essere inclini a compiere i peggiori crimini senza alcun freno morale. Infatti, se la morte corrisponde all'estinzione definitiva, ogni azione, per quanto detestabile, perderebbe infine ogni conseguenza, che si tratti di un singolo omicidio o di un massacro su vasta scala. Da questa prospettiva, qualsiasi azione moralmente censurabile potrebbe quindi risultare accettabile. Allo stesso modo, di fronte alle avversità della vita, abbreviare consapevolmente il proprio tempo potrebbe sembrare un esito desiderabile.

Per quanto concerne i piaceri terreni, essi rappresenterebbero solo un sollievo effimero, privo di un significato profondo, mentre la prospettiva dell'annientamento svuoterebbe la vita del suo significato ultimo. Tale conclusione logica deriva dal postulato della completa cessazione dell'essere al momento della morte.

Qual è la posizione del Buddismo su questa questione?

Nella dottrina buddista, in base al principio di causalità, le conseguenze delle azioni, sia meritorie che riprovevoli, perdurano oltre la morte dell'individuo. I semi così seminati, sebbene invisibili all'occhio, restano immagazzinati come potere karmico immutabile, generando inevitabilmente specifiche ripercussioni.

Sebbene le conseguenze possano restare inosservate prima della morte, queste si manifestano successivamente, dopo la morte.

Il principio di causalità costituisce una verità cosmica che si estende oltre il dominio della mortalità.

Persiste un'anima dopo la morte?

Nella maggioranza delle dottrine religiose, la morte presuppone l'esistenza di un'anima immortale.

Quasi tutte le tradizioni religiose, fatta eccezione per il Buddhismo, promuovono l'idea di un'anima immortale persistente anche dopo la morte corporea, considerata come una realtà permanente, eterna e immutabile.

Nel contesto dello shintoismo giapponese, ad esempio, i devoti credono che la costruzione di santuari in onore di individui defunti permetta alle loro anime di dimorare in quei luoghi, conferendo loro il potere di influenzare il destino dei viventi, portando felicità o sfortuna.

Un esempio emblematico è rappresentato dal Santuario Meiji, dove si ritiene che risieda l'anima dell'Imperatore Meiji da oltre un secolo, così come per Michizane Sugawara, la cui presenza è venerata da oltre mille anni, risalendo al periodo Heian. Analogamente, il culto di Amaterasu, la dea del sole, è stato osservato per circa duemila anni, sin dai tempi dell'imperatore Taruhito.

E il cristianesimo?

Anche nel Cristianesimo, l'anima è considerata come inalterabile, immortale e destinata a una vita eterna. Si ritiene che essa sopravviva alla morte corporea in attesa del giudizio finale, che determinerà se godrà dell'eternità nel regno divino o subirà una sofferenza eterna nell'inferno.

Questo solleva interrogativi sulla possibile attesa di figure storiche come San Paolo, Sant’Agostino e San Tommaso d'Aquino, che, secondo questa dottrina, rimarrebbero in attesa da secoli.

E il brahmanesimo?

Nel contesto del Brahmanesimo, che precede l'Induismo contemporaneo, era la religione dominante in India. Anche questa dottrina riconosce l'esistenza di un Sé permanente e immutabile, aspirando all'unione tra il Sé e l'essenza divina di Brahma, dove quest'ultimo e il Sé si fondono con il macrocosmo.

Tale concetto è riflesso nel misticismo contemporaneo, che esprime la ricerca di un'unione totale con l'universo.

Pertanto, la maggior parte delle tradizioni religiose sostiene l'esistenza di un'anima immutabile dopo la morte.

Qual è dunque la posizione del buddismo in merito?

Nel buddismo, che ne è dell’anima?

Per il buddismo, i dharma sono privi di ego.

Tuttavia, la prospettiva buddista si discosta radicalmente da queste concezioni. Il Buddismo insegna che i dharma, ossia i fenomeni, sono privi di un sé intrinseco. Contrariamente al concetto di "sé fisso e immutabile" del Brahmanesimo, il Buddismo afferma che i dharma sono "non-sé", enfatizzando l'assenza di un io permanente e immutabile come uno dei suoi principi fondamentali, divergendo da tutte le altre religioni. Tale mancanza di un io permanente è giustificata dal principio buddista di causalità, secondo il quale tutti i fenomeni emergono in base a cause e condizioni, sottolineando l'assenza di una natura intrinseca.

Tutti i dharma sorgono in base a cause e condizioni

“Tutti i dharma” si riferisce a tutti i fenomeni, che comprendono ogni cosa.

Questa espressione indica l'emergere di qualsiasi entità attraverso l'interazione di cause ed effetti. In altre parole, quando queste cause ed effetti si dissociano, si trasformano in qualcosa di diverso.

Per esempio, un'automobile è un'entità coerente quando è assemblata dalle sue migliaia di componenti, ma quando questi componenti si disintegrano, cessa di essere un'automobile, anche se non diventa nulla. Allo stesso modo, ogni singolo componente è funzionale all'interno di una particolare forma, ma quando adotta un'altra forma, non può più essere considerato lo stesso componente. Osservando in questo modo gli elementi apparentemente fissi e immutabili dell'esistenza, si conclude che essi non esistono in sé.

E la fisica?

La fisica moderna si è evoluta dall'idea che tutta la materia sia costituita da atomi alla scoperta che gli atomi stessi sono costituiti da nuclei ed elettroni, questi ultimi a loro volta composti da protoni e neutroni, che in ultima analisi sono costituiti da quark. È stato anche suggerito che i quark potrebbero essere costituiti da corde vibranti, ma questa ipotesi rimane tuttora non confermata. In breve, nonostante i progressi della fisica moderna, non è stato identificato alcun elemento invariabile e immutabile.

Da duemilaseicento anni, il Buddismo insegna che non esiste un'entità permanente e immutabile che possa essere chiamata anima, in sintonia con la comprensione illuminata del Buddha che tutto è privo di una natura intrinseca.

Qual è l’eternità della vita nel buddismo?

Per il Buddismo, la morte non significa il nulla assoluto. Si riconosce l'esistenza di un'entità spirituale immortale nota come coscienza Alaya, l'ottava coscienza, responsabile dell'accumulo invisibile di azioni spirituali, verbali e fisiche. Tuttavia, va sottolineato che questa non è considerata un'anima permanente e invariabile, bensì "come un torrente impetuoso", una metafora che sottolinea la natura effimera e impermanente di tale coscienza.

Similarmente, l'ottava coscienza fluisce attraverso le forze karmiche operative nella nostra mente, nel nostro linguaggio e nelle nostre azioni fisiche, evolvendo con un ritmo incessante. Questa ottava coscienza incarna l'essenza della nostra esistenza eterna, che si estende da un passato infinito e remoto, precedente alla nostra nascita, fino a un futuro eterno successivo alla nostra morte.

Lo scopo del Buddhismo

Dunque, dal punto di vista buddista, viene negata l'esistenza di un'anima permanente e immutabile. Tuttavia, quando il corpo muore, l'ottava coscienza, in un costante fluire e perpetua mutazione, genera il mondo successivo mediante il processo di reincarnazione, continuando così il ciclo eterno di sofferenza e di transmigrazione all'interno dei sei sentieri sfortunati, che comprendono gli inferi, gli spiriti affamati, gli animali, gli Asura, gli esseri umani e i cieli.

 

L'obiettivo del Buddhismo consiste quindi nel purificare questa ottava coscienza attraverso pratiche appropriate, al fine di consentire al praticante di superare il samsara e di accedere ai quattro sentieri sacri, per infine raggiungere lo stato di Buddità. Tuttavia, tale processo di purificazione richiede un numero infinito di esistenze e di eoni. Zhiyi, un illustre maestro Tendai, nel Sutra del Loto, identificò l'esistenza di una nona coscienza, chiamata Amara o coscienza immacolata, che rappresenta la natura del Buddha presente in ogni essere e che, mediante il suo sviluppo, rende possibile il raggiungimento della Buddità in questa stessa vita. Da qui derivò il concetto di " Un Istante di Pensiero in Tremila Regni " (ichinen sanzen). Nel periodo dell’Ultimo Giorno del Dharma, Nichiren Daishōnin concretizzò questo principio attraverso il Dai Gohonzon. La pratica fervente verso questo Gohonzon consente di purificare la nostra ottava coscienza in questa vita e di liberarci immediatamente dal ciclo della reincarnazione nei sei sentieri.

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