Domanda n. 16

Possiamo credere che le nostre facoltà umane possano essere superate da un "concetto" di amore e di comprensione universale, altrimenti perché dire che i nostri sensi e la nostra coscienza sono limitati?

Riposta

È interessante notare quanto gli occidentali diano un'importanza quasi suprema al "concetto di amore", cosa che non avviene in altre culture, soprattutto asiatiche. In Giappone, ad esempio, non si dice "ti amo". L'espressione in sé non esiste. Possiamo esplorare alcuni elementi culturali e storici che possono contribuire a questa apparente differenza tra l'Occidente e alcune culture asiatiche.

Nella tradizione occidentale, movimenti come il Romanticismo hanno fortemente influenzato la letteratura e le arti, sottolineando l'importanza dell'amore romantico e passionale. D'altra parte, alcune culture asiatiche hanno tradizioni letterarie e filosofiche diverse, che talvolta enfatizzano la stabilità familiare, il dovere e la lealtà piuttosto che la passione romantica.

Poi ci sono i modelli familiari: i valori familiari possono variare da cultura a cultura. In alcune culture asiatiche, l'enfasi sulla famiglia allargata e sui suoi obblighi può avere la precedenza rispetto all'enfasi sulle relazioni sentimentali individuali. Anche i matrimoni combinati, sebbene sempre meno comuni, hanno avuto un ruolo in alcune culture asiatiche, con l'idea che la compatibilità familiare sia altrettanto importante, se non più importante, dell'amore romantico.

Religioni e spiritualità: anche le influenze religiose possono giocare un ruolo importante. Ad esempio, in alcune culture asiatiche i valori confuciani enfatizzano la famiglia e l'armonia sociale, mentre nel cristianesimo occidentale l'amore è spesso visto come una forza centrale.

Curiosamente, l'ideogramma cinese della parola "amore", che in giapponese si pronuncia "ai", ha un secondo significato buddista, tradotto come "desiderio" o "attaccamento". Questa parola è l'ottava della catena dei dodici anelli causali che spiegano l'origine del vagare degli esseri comuni nel ciclo della vita e della morte lungo i sei sentieri. Precede "appropriazione".

Inoltre, secondo alcuni psicologi, l'amore può essere associato a un eccessivo attaccamento e alla paura della perdita, che possono essere collegati a preoccupazioni dell'Io.

Arthur Schopenhauer, filosofo tedesco del XIX secolo, ha sviluppato una visione pessimistica della condizione umana, secondo la quale gli esseri umani oscillano costantemente tra desiderio e noia. La sua visione è spesso incentrata sul concetto di volontà. Nella sua opera principale Die Welt als Wille und Vorstellung (Il mondo come volontà e rappresentazione), esplora l'idea che gli esseri umani siano essenzialmente governati da una forza interiore chiamata volontà. Ecco come Schopenhauer sviluppa l'idea che gli individui oscillino tra desiderio e noia:

Il punto di partenza di Schopenhauer è la volontà: egli vede la volontà come una forza cieca e insaziabile che spinge gli individui a desiderare costantemente. Egli sostiene che la volontà è alla base di tutte le azioni umane, che si tratti della ricerca del piacere, del raggiungimento di obiettivi o della soddisfazione di bisogni.

Poi, la volontà porta al desiderio e alla sofferenza: Schopenhauer afferma che il desiderio è la manifestazione della volontà. Gli individui sono costantemente presi da vari desideri, che cercano di soddisfare. Tuttavia, la soddisfazione dei desideri porta solo un sollievo temporaneo, poiché ne emergono sempre di nuovi. Questa ricerca perpetua del desiderio porta inevitabilmente alla sofferenza, perché in questa dinamica è difficile raggiungere una felicità duratura.

La noia segue il desiderio: per Schopenhauer la noia è uno stato in cui la volontà non è attivamente impegnata. Quando i desideri sono momentaneamente soddisfatti e l'eccitazione diminuisce, subentra la noia. Secondo Schopenhauer, la noia è un fatto inevitabile della vita umana, perché la natura incessante della volontà fa sì che anche la soddisfazione dei desideri porti alla fine all'insoddisfazione.

Per Schopenhauer, quindi, la vita umana è caratterizzata da un incessante tira e molla tra desiderio insaziabile e noia, con la possibilità di una fuga temporanea attraverso attività come l'apprezzamento artistico e la pratica di una morale altruistica.

Che cosa apporta la pratica di Nam Myōhōrengekyō in un simile contesto?

A mio modesto parere, l'analisi di Schopenhauer riguarda le persone che non praticano.

Siamo tutti esseri ordinari afflitti da innumerevoli desideri, il che significa che i nostri sensi e la nostra coscienza sono limitati. Anche i Buddha e i bodhisattva hanno desideri. Ma questi desideri sono extra-mondani e consistono nel desiderare la salvezza di tutti gli esseri. Quindi, nel praticare Nam Myōhōrengekyō, abbiamo una scelta. O pratichiamo per saziare i nostri desideri mondani, che ci fanno ancora oscillare tra desiderio e noia, o pratichiamo per realizzare i desideri extramondani, che sono la Buddità e la vasta                                                propagazione. Il culmine di questi è il Nirvana e la terra del Buddha, dove possono esserci solo serenità e realizzazione.

 

In conclusione, sia l'amore che il suo opposto, l'odio, sono sentimenti mondani che derivano dall'attaccamento all'ego e portano alla sofferenza. Il buddismo, invece, pone l'accento sulla compassione, che è extra-mondana e porta alla serenità.

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